Drowning in the sound
In fondo sono una traduttrice, il mio lavoro è questo.
Non sono una copywriter, né una giornalista, né un’autrice.
Negli ultimi mesi c’è stato tantissimo da tradurre, una valanga di lavoro, e speriamo che duri!
E poi, cosa posso dire che sia utile, che non sia già stato scritto, e scritto meglio?
Quando sarò più tranquilla. Quando avrò l’ispirazione. Quando avrò meno da fare. Quando avrò tempo per pensare a un piano.

Immagine di Nate Neelson su Unsplash
Qui sopra, solo per voi, una pregiata selezione di fandonie che mi sono raccontata prima di mettermi a scrivere questo post. Nel frattempo, chi o cosa ha messo a tacere tutte queste vocine? Be’, diciamo che improvvisamente ho molto più tempo a disposizione per stare davanti al mio portatile senza che nessuno mi distragga (se escludiamo una gatta piuttosto esigente, ancora di più ora che ha la sua “mamma” a disposizione 24 ore su 24).
Una paura più grande ha messo a tacere la mia piccola paura, quella di scrivere. Intendiamoci: espormi mi provoca decisamente più terrore della pandemia. Mi rendo perfettamente conto di quanto possa sembrare egoista e frivola quest’affermazione, ma è la verità. Forse mi spiego meglio per immagini: se la paura di espormi è un buco stretto e profondissimo, quella dell’emergenza coronavirus è un cratere non così profondo, ma decisamente enorme, che non riguarda soltanto il mio sentire, ma ha risonanza ovunque e su chiunque.
Non siamo mai stati così vicini, nostro malgrado.
La solitudine ha sempre esercitato su di me una seduzione pericolosa, già quando da piccola preferivo giocare in camera mia o dentro l’armadio (sic) piuttosto che all’aperto, coi figli dei vicini. Una volta ci pensavano i miei o gli amichetti a tirarmi fuori dal mio bozzolo; ora che sono diventata grande, capisco che devo darmi una botta di socialità quando mi sveglio nel cuore della notte senza motivo, quando scopro una passione sfrenata e insolita per le pulizie di casa, quando i messaggi e i “come stai?” sono come increspature sulla superficie dell’acqua, che non riescono davvero a toccarmi.

Immagine di Nate Neelson su Unsplash
In condizioni normali prendere il telefono e uscire con qualcuno è la cosa migliore da fare per riprendermi. Ora come ora non è fattibile, ma le alternative non mancano: videochiamate, giochi da tavolo online, l’intramontabile Dungeons and Dragons… Tuttavia, e lo dico da potenziale sociopatica, dandomi quindi una vigorosa zappata sui piedi, mi sa che farsi compagnia non è più sufficiente adesso.
Credo che sia splendido fare cose, da soli e in compagnia, prendersi del tempo per sé, imparare, leggere, meditare… Sono grata agli amici che condividono la propria arte. Nutro profondo rispetto per la tristezza e per il dolore, penso che ora la positività sia una compagna fondamentale, addirittura gli arcobaleni mi fanno tenerezza, a volte. In tutto questo sono anche consapevole del fatto che stiamo creando tanto rumore di fondo, perché siamo terrorizzati da questo silenzio assoluto.
Dirvi “andrà tutto bene” non è da me.
Ora che non possiamo fuggire altrove, tanto vale guardarsi bene negli occhi.
Forse l’opportunità più bella da cogliere in questo momento infelice è la verità.
E voi, come state?
Mi farò viva più spesso. 🙂

Letizia Merello esordisce come aspirante traduttrice letteraria e finisce per specializzarsi in traduzione scientifica passando per il settore turistico e cosmetico, infine approda alla traduzione brevettuale. È entrata nel team di ASTW nel 2015, dopo diversi anni di esperienza come traduttrice freelance. Specializzata in traduzioni tecniche e scientifiche ma appassionata di traduzione letteraria, sfrutta al meglio la sua “doppia personalità” nei progetti più creativi.
L’illustrazione di copertina è di Claudia Plescia.
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