In un suo interessantissimo contributo, pubblicato sul blog specializzato in proprietà intellettuale IPWatchDog, l’avvocato Ben Hsing pone la lente di ingrandimento su un tema non ancora trattato da molte piattaforme di informazione: i farmaci nati dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale possono essere oggetto di brevetti?
Come sempre, andiamo per gradi.
L’industria farmaceutica e biofarmaceutica genera vasti quantitativi di dati, quali informazioni sulle proprietà e le caratteristiche dei composti farmaceutici, dati biologici, genomici e clinici, nonché dettagli sull’efficacia dei trattamenti, eventuali eventi avversi, cartelle cliniche elettroniche e tanto altro ancora.
I sistemi di intelligenza artificiale addestrati su questi dati possono semplificare e ottimizzare l’intero processo di sviluppo farmaceutico. Inclusa la scoperta di nuovi farmaci, l’identificazione di trattamenti e rischi specifici, e la pianificazione degli studi clinici.
L’intelligenza artificiale ha la capacità di analizzare vaste quantità di dati riguardanti un ampio spettro di composti chimici. Utilizzando appositi algoritmi, può ad esempio sfruttare dati biologici e chimici per apportare modifiche ai composti esistenti e concepire nuove entità chimiche con caratteristiche di efficienza e sicurezza previste. In questo modo, si discosta dai tradizionali approcci della chimica medicinale.
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In aggiunta, l’intelligenza artificiale può individuare nuovi utilizzi per composti già noti o farmaci esistenti. Infine, analizzando le cartelle cliniche, i dati genetici e le storie mediche, può inoltre identificare i partecipanti idonei per gli studi clinici, migliorando così il reclutamento e l’efficienza.
Ma quali sono le questioni relative ai brevetti quando si utilizza l’intelligenza artificiale per lo sviluppo di farmaci? È possibile brevettare i composti farmaceutici generati dall’intelligenza artificiale? Se sì, chi sarà il titolare dell’invenzione?
Brevetti, farmaci e Intelligenza artificiale
La prima soluzione potrebbe prevedere di considerare l’IA come uno strumento impiegato dall’essere umano per condurre ricerche scientifiche, in modo simile a come un individuo utilizza un computer o altre attrezzature di laboratorio. L’output prodotto sarebbe quindi attribuito all’essere umano che ha utilizzato e supervisionato questi strumenti.
Dunque, le aziende che impiegano l’intelligenza artificiale nello sviluppo di farmaci dovranno documentare accuratamente la concezione e l’attuazione da parte degli esseri umani di qualsiasi potenziale invenzione. Un contributo umano significativo è necessario per essere considerati inventori di un’invenzione assistita dall’intelligenza artificiale, andando oltre il mero apporto di concetti ben noti o dello stato attuale dell’arte.
Inoltre, l’intelligenza artificiale potrebbe essere considerata come un esperto del settore?
Questi sistemi vengono generalmente addestrati imparando da un’enorme quantità di dati, ivi inclusi brevetti e pubblicazioni sullo stato dell’arte. Pertanto, l’IA potrebbe essere la cosa più vicina a un’ipotetica persona che si presume sia a conoscenza di tutta la tecnica anteriore.
Un altro aspetto da considerare riguarda i dati provenienti da fonti esterne utilizzati per addestrare un sistema di intelligenza artificiale. Questi potrebbero non essere di proprietà del fornitore del servizio ed essere soggetti a limitazioni di utilizzo o licenza.
Infine, se il sistema di intelligenza artificiale è soggetto a brevetto, il titolare dello stesso potrebbe avvalersi del diritto di richiedere royalty derivanti dai suoi diritti brevettuali e di associarle a qualsiasi scoperta effettuata utilizzando il sistema di intelligenza artificiale.
Insomma, il concetto che per il momento emerge più chiaramente da questa acuta riflessione è che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per lo sviluppo di nuovi farmaci, oggetto di successivi brevetti, richiede la massima cautela.
Almeno per il momento.
A chi volesse approfondire la questione, consigliamo la lettura integrale del contributo di Ben Hsing
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