Da Nord a Sud, riprendiamo il nostro itinerario alla scoperta dei dialetti italiani, ed è gustando un cabaret di pasticcini alla pasta di mandorle (che avrei dovuto dividere con la mia ragazza ma sono troppo buoni!) che mi preparo al viaggio verso una delle isole più belle del Mediterraneo: la Sicilia.
Pima di iniziare occorre chiarire una delle questioni principali: il siciliano è una lingua o un dialetto?
Inizio le ricerche. Decido di affidarmi a enti predisposti e a esperti in ambito linguistico, così da evitare di aumentare la confusione in merito. Faccio quindi riferimento al docente, glottologo e dialettologo Giovanni Ruffino, primo linguista siciliano nominato accademico della Crusca nel 2017. Il professor Ruffino ritiene che il termine dialetto sia più appropriato, nonostante il siciliano abbia mantenuto alcuni dei requisiti fondamentali per essere definito una lingua.
Ma andiamo per gradi.
Siciliano, ISO e UNESCO
Ricordandoci quando detto sopra ci addentriamo ulteriormente nel dibattito.
L’International Organization for Standardization (ISO), la principale organizzazione mondiale per la definizione di norme tecniche nei più svariati ambiti e settori, ad esempio le nostre certificazioni ISO 17100:2015 e 18587:2017, ha attribuito un codice anche al siciliano: ISO 639-3 scn. Il “problema” è che i codici ISO non vengono assegnati ai dialetti, ma solo agli idiomi autonomi.
Ma non finisce qui.
L’UNESCO ha riconosciuto al siciliano, così come al napoletano, lo status di lingua madre in pericolo d’estinzione. Fornendone anche una definizione:
La Lingua siciliana è l’insieme dei dialetti meridionali estremi, quindi l’insieme dei dialetti siciliani, della Calabria centro-meridionale e del Salento.
È da intendersi quindi come «lingua regionale o minoritaria […] non un dialetto della lingua ufficiale dello Stato».
In sostanza, nonostante io non abbia intenzione (né tantomeno l’autorità) di stabilire se si tratti di lingua o dialetto, sappiamo che il siciliano può essere inteso come l’insieme dei dialetti parlati non solo all’interno della regione Sicilia, ma anche in alcune aree della Puglia e della Calabria.
Cosa posso fare, però, è chiarire una volta per tutte che no, purtroppo il siciliano e il napoletano non sono riconosciuti come Patrimonio Unesco, come in molti hanno invece dichiarato, dal momento che non figura nell’elenco dei Patrimoni Orali e Immateriali dell’UNESCO.
Sicilia: la storia linguistica
La ricchezza del siciliano affonda le proprie radici nella storia dell’isola. La sua posizione strategica, centrale nel Mar Mediterraneo, ne ha fatto nel corso dei secoli l’oggetto di conquiste da parte di popolazioni provenienti dai territori più disparati.
Popolazioni che hanno contribuito al continuo rinnovo e incremento delle varie forme linguistiche delle parlate locali. In particolare, possiamo riconoscere in questo idioma l’influenza greca, latina, araba, francese, tedesca, catalana e castigliana.
Tra tutte, le influenze delle lingue iberiche sulle parlate di Sicilia sono probabilmente le più evidenti. Ad esempio, nelle desinenze dell’imperfetto in dicìa e facìa e del condizionale dirìa e farìa, tipiche dello spagnolo. E ancora l’uso della preposizione “a” con nomi propri o comuni di persone, tipiche del castigliano: “Esperamos a tu hermano” e “Aspittamu a tò frati” in siciliano. A livello terminologico possiamo infine trovare parole di chiara influenza spagnola, come lastima (lamento) da lástima e cucchiara (cucchiaio) da cuchara.
Ma non solo la Spagna, anche la Francia è riuscita con la sua lingua a influenzare le parlate siciliane. Come nei vocaboli accattari (comprare) da acheter, assiettati (siediti) da assieds-toi e racina (uva) da raisin.
Insomma, un idioma a dir poco affascinante, oggetto di norme e progetti scolastici all’interno di sempre più ampi progetti di valorizzazione, non soltanto di natura locale.
Ah, quasi dimenticavo. Il siciliano ha anche una propria versione di Wikipedia “La nciclupidìa lìbbira“, un traduttore online italiano-siciliano ed è infine possibile sceglierlo come lingua per la propria tastiera Google.
Alla prossima puntata, ni videmu prestu!
P.S. Alla fine ho lasciato due pasticcini anche per lei
Stefano Gaffuri